ANNO 14 n° 119
Peperino&Co.
La scoperta di Vulci
>>>> di Andrea Bentivegna <<<<
06/06/2015 - 02:01

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Era il 1828, l’Italia non esisteva neppure nelle aspirazioni del allora giovanissimo Mazzini, quando, il 27 aprile, il granduca di Toscana Leopoldo II di Lorena verga il decreto con il quale si avvia l’ambizioso piano di bonifica della Maremma.

L’impresa era titanica, per secoli la si tentò senza successo e persino il padre dello stesso Leopoldo, Ferdinando III, pagò il fallimento con la propria vita, e solo a partire dal 1828 questa terrà amara, che va da ''Cecina a Corneto'', iniziò ad essere strappata alle paludi e alla mortifera malaria che la rendevano tanto inospitale.

Fu proprio mentre avveniva ciò che, su un poggio non distante da Montalto, la terra si aprì sotto alcuni buoi facendoli sprofondare di qualche metro in quella che all’inizio sembrò una piccola caverna, non si trattava però un grotta bensì di un sepolcro, una tomba di epoca etrusca; D’un tratto i primi archeologi accorsi in quei mesi si trovarono di fronte una delle polis più importanti e ricche dell’antico Mediterraneo: Vulci.

Questa città, adagiata su un pianoro lambito dal fiume Fiora, sorta circa ottocento anni prima di Cristo, divenne un centro fiorente e fu, quasi certamente, una delle dodici città stato che governarono l’Etruria ma, in seguito alla conquista romana, vide affievolirsi la sua importanza e iniziò un inesorabile spopolamento che portò la sua scomparsa presumibilmente attorno al I secolo d.C. da allora, di Vulci, per i successivi 1700 anni non si tramandò che la legenda.

Dopo due secoli dalla sua scoperta la conoscenza di questa città è ancora incredibilmente limitata anche perché, da subito, gli scavi si concentrarono più che sul centro urbano vero e proprio sulle ricchissime necropoli che lo circondavano da cui, avidi collezionisti, iniziarono a riportare alla luce reperti straordinari andati a impreziosire le collezioni di mezzo mondo.

Tra i pionieri dell’archeologia locale vi fu Luciano Bonaparte, principe di Canino e soprattutto fratello di Napoleone, che assieme ad una pletora di ambiziosi mercanti, diede il primo impulso agli scavi, successivamente arrivarono i primi studiosi, quasi tutti stranieri, che iniziarono una vera propria ricostruzione della storia della città e nel 1857 Alessandro François, addentrandosi in un grotta, scoprì un sepolcro con sette camere splendidamente affrescate che da allora porta il suo nome e che è considerato uno dei capolavori dell’arte etrusca.

Della città vera e propria, quella alla quale si accede attraverso lo splendido ponte della Badia che con un balzo sullo strapiombo unisce le due sponde del Fiora, poco si conosce, molte delle informazioni che abbiamo le si è dedotte dai sepolcri dei suoi abitanti ma di Vulci, che sappiamo possedeva una possente cinta muraria e quattro porte di accesso, non rimane oggi che una altopiano ricoperto di grano. Eppure questo pezzo di Maremma nel quale è impossibile imbattersi a meno che non lo si voglia visitare era, in un tempo molto lontano, una delle più alte espressioni del genio etrusco ancora oggi avvolto nel mistero, e probabilmente se non fosse franato quel pezzo di terreno due secoli fa, oggi, di questa ''Atlantide dell’Etruria'', non sapremo quasi nulla.





Facebook Twitter Rss